17 mar 2016

Male e malessere nei fatti di cronaca

                                 
Perché ci sorprendiamo della crudeltà umana in delitti compiuti da soggetti considerati "normali”? Con tristezza rileviamo che gli assassini diventano intrattenimento televisivo per settimane, a volte per mesi, reclamizzati e mercificati tra una pubblicità e l’altra. Le vittime alla fine sembrano personaggi della fantasia, non corpi massacrati. In Italia, per fortuna, questi crimini efferati sono pochi, non per questo bisogna tentennare ed è necessario arginare le premesse per dare fiducia alla collettività. Inutile girarci intorno, viviamo in una società dove la famiglia in tanti casi ha perso il suo ruolo. Genitori adulti si aggirano con fare adolescenziale, alcuni impegnati nel lavoro o nel diritto alla propria realizzazione personale. I ragazzi crescono difesi ad oltranza, i peggiori nemici sono i professori e i padri e le madri degli “altri”. Questo è un piatto della bilancia, nell'altro c’è la carenza degli affini, il ridurre sempre più il tempo dello stare insieme; persa in molti anche l'abitudine di mangiare uniti intorno ad un tavolo. Quando i bambini sono piccoli si organizzano i momenti liberi dall'attività scolastica: sport o intrattenimento ludico da occupare tutta la settimana e il più lontano possibile dalle mura domestiche. Comunque si scelga c'è sempre poco tempo per parlare, giocare, creare un legame affettivo e di mutuo rispetto. Quando diventano grandicelli alcuni genitori se li vogliono levare di torno pure durante le vacanze o il fine settimana. Questo erige un muro invalicabile, così dentro le case si aggirano sconosciuti legati solo al portafoglio del genitore di turno. Lo stupore per un crimine commesso da un figlio è normale. Non bisogna però indugiare troppo sulla psicologia, sarebbe troppo facile scagionare i violenti incolpando droghe carnivore, pochi valori, società permissiva e buonista. Quando la giornalista Hannah Arendt scrisse nel 1961 il libro “La banalità del Male” a seguito del processo contro il nazista Eichmann,
organizzatore della deportazione di milioni di ebrei nei campi di concentramento, descrisse la normalità di un uomo comune. O meglio, la scarsa profondità di pensiero di un uomo mediocre, l’insussistenza di una coscienza, l’insensibilità verso la sofferenza altrui. Rimaniamo sgomenti davanti al Male, eppure dalla notte dei tempi illustri filosofi hanno cercato di addentrarsi nella materia ricavando complesse riflessioni. Cartesio con il suo “Cogito ergo sum” supponeva l’esistenza di un IO pensante dal quale erompeva una forma di conoscenza. Guardando l’irrazionalità degli uomini, spesso in movimento come un gregge di pecore, è facile sostenere che il fatto di pensare non porta all'Essere. Molto tempo prima Epicuro disquisiva sulla presenza o meno di un Dio buono, arrivando a formulare la sua inesistenza provata con la realtà del male. Il Cristianesimo divulga la lotta tra il bene e il male, la fede necessaria per sconfiggerlo, il libero arbitrio, la giustificazione della sofferenza. Tantissima acqua passa sotto i ponti fino ad arrivare a Nietzsche che dichiarava : “Dio l’abbiamo ucciso e con lui è scomparso anche l’uomo vecchio, ma quello nuovo è ancor di là dall'apparire”. Voleva con questa frase trasmettere la sfiducia dell’uomo europeo verso i valori della propria civiltà, annichilita senza lasciar eredi? E questo accadeva alla fine dell’Ottocento, infatti il filosofo morì senza vedere gli orrori della Prima Guerra mondiale con i suoi gas letali, i campi di concentramento e la bomba atomica della Seconda. Sì il Male esiste, indubbiamente, però non possiamo ammirare le nostre città, le opere d'arti, la natura che ci circonda, persone altruiste e d'ingegno e non provare un infinito amore per il Bene. Dobbiamo recuperare le nostre origini, lottare per far riemergere l’uomo rinascimentale che è dentro ognuno di noi e liberare l’intelletto dal vuoto procurato da anni di pubblicità concepita per un mondo illusorio ed effimero. Solo così potremmo allontanare i nostri figli dal Male.