9 dic 2015

GIUBILEO di cosa dobbiamo gioire?



Tra gli ebrei con il corno d’ariete, lo jobel, si attirava jobil ossia la gente, proclamando jobal che è l’indulgenza. Sembra un gioco eppure da queste tre parole nasce il nostro “giubileo”, che in latino fu tradotto con la parola “giubilo”, un sentimento di gioia incontenibile. Quando di cinquanta in cinquant'anni la tradizione del popolo d’Israele metteva a riposo la terra, restituiva i terreni confiscati ai legittimi proprietari e liberava gli schiavi, gioco forza si viveva un’annata straordinaria. Non c’inventiamo nulla di nuovo, in questa lunga catena di anelli saldati che è la vita terrena degli esseri umani. Il tema dell’odierno giubileo è la “misericordia”, benedetta sia, perché noi uomini e donne per quanto ci sforziamo, troviamo assai ardua la pratica della compassione. La generosità è difficile conseguirla nelle famiglie, tra gli amici; l’individualismo si è impossessato di noi, tanto da renderci degli schiavi anaffettivi. Molti sperano ardentemente nella compassione e pietà di Dio per le proprie miserie morali, però rimane umanamente impossibile per la maggioranza dei bipedi provare tale sentimento per il prossimo. Prima d’immergerci nella cerimonia viene bene domandarsi se hanno ancora senso i X Comandamenti. Nell'attuale società siamo avvolti da pubblicità miranti a portarci nel regno della fantasia, diventa complicato distinguere la realtà. E’ tutto extra corporeo, scendiamo nel mondo reale solo quando c’imbattiamo in una malattia o nella morte, per questo non si accetta la natura delle “cose”e allora gridiamo contro la sfortuna, o contro Dio. Ripercorriamo con spirito libero, alieno da ipocrisie, i precetti donati da Dio a Mosè, se siamo laici osserviamo quanto il seguirli semplificherebbe il vivere civile.
D’altra parte bisognava pure iniziare a regolare la vita tra gli umani diventati numerosi. È tanto difficile da comprendere? Per domare la belva dentro ognuno di noi è gioco forza sobbarcarsi una legge; religiosa o civile non sarebbe importante. La nostra sopravvivenza dipende dal senso della misura che purtroppo non è innato. La religione dovrebbe rendere più dolce l’accettazione perché regala una speranza oltre la morte, mitiga la sofferenza della non conoscenza e delle eterne domande.  “Non avrai altro Dio fuori di me”, “Non nominare il nome di Dio invano”, “Ricordati di santificare le feste”, “Onora il padre e la madre”, “Non uccidere”; “Non commettere atti impuri”; “Non rubare”, “Non dire falsa testimonianza”, “Non desiderare la donna d’altri”, “Non desiderare la roba d’altri”. Non ricordano solo l’amore per Dio. Estrapolando per laici e no: - sono linee guide per un vivere in armonia, è il tentativo di normalizzare l’istinto umano, promotore di discordia e abomini. Certo, molte devono essere adeguate ai tempi moderni.