19 nov 2015

Non sottomettersi all'integrazione



Sono passati cento trent'anni dai funerali di Victor Hugo e stiamo per seppellire le vittime del barbaro attacco terroristico di Parigi, accompagnate dalla desistenza della nostra cultura occidentale. Impossibile non essere percossi da un fremito di paura sul futuro; con troppa faciloneria molti considerano, asseriscono e pronunciano punti di vista senza la consapevolezza del bene prezioso che stiamo buttando via. “Comme la nuit se fait lorsque le jour s’en va”, con questa frase finisce “I Miserabili” (come viene la notte quando il giorno se ne va), rappresentando di forma naturale la morte del personaggio principale, Jean Valjean. Con questa forma sperperiamo la libertà da noi non conquistata, con la presunzione di poter controllare l’efferatezza e di riuscire a dialogare con il fanatismo. La grandezza della nostra cultura si fonda anche su questo galeotto concepito da Hugo: imprigionato per un tozzo di pane e scontata la pena Jean Valjean si ritrova a rubare nella casa del vescovo di Digne, che però lo salva dichiarando ai gendarmi una sua spontanea donazione; da qui la rinascita dell’uomo, avvenuta per una nuova opportunità, alla quale sarà leale fino alla fine.  La condizione illustrata si è formata nei millenni, fatti e parole la rendono preziosa, lo scrittore con sensibilità e senso di giustizia la descrive. Modello di lealtà fu Socrate, padre fondatore dell’etica, scelse la sentenza di morte bevendosi la cicuta invece della fuga, ritenuta una violenza al suo pensiero e ai valori morali. C’è da chiedersi se la coerenza è un valore. Si assiste
ogni giorno a un dispiegamento di demagogie a basso costo, di parole lanciate in libertà per affermare atteggiamenti in palese contraddizione con il proprio vissuto. Mentre assistiamo parole di solidarietà, di tolleranza, di aperture, perfino il presidente della Repubblica Italiana e la sua famiglia alimentano dispute, rifiutando la proposta di conciliazione di un tribunale per mettere fine a una diatriba con la casa editrice Longanesi e uno scrittore, colpevoli di aver pubblicato un libro sulla Sicilia e sulla limitatezza dei siciliani rispetto alla mafia. Che cosa dire di chi grida parole di pace e si accapiglia alle riunioni di condominio, in mezzo al traffico, litiga con i congiunti non riuscendo a trovare soluzioni neanche quando si tratta di figli, genitori ed ex conviventi. Le “belle parole" accrescono la consapevolezza della stupidità umana, verso l'inconsistenza spesso si preferisce il silenzio sperando non produca guai. Attorniati da una minaccia imminente e codarda è impossibile tacere davanti a simili quaquaraqua. Chi parla d’integrazione? Per i preti è giusto e normale farlo, Gesù auspicava un amore fraterno tra tutti gli uomini, motivo per il quale è morto in croce. Dobbiamo rivolgere un apprezzamento incondizionato agli idealisti ma solo a quelli che testimoniano con sacrificio e dedizione la loro fiducia nell'essere umano. Spiegare l’integrazione di persone a culture dissimili non è complicato, però è inutile rivolgersi a chi da fiato alle trombe per seguire una tendenza o a chi deve mitigare una sofferenza nata da un conflitto verso l’ambiente che lo circonda. In fondo si tratta d’inserire un individuo all'interno di una collettività attraverso la socializzazione, ma perché ciò avvenga la chiave di partenza è la volontà. Se sono invitato a una cena e non tocco cibo, anzi spiego come si deve imbandire la tavola e preparare la pietanza, non c’è santo che tenga, l’ambiente non sarà accogliente. In Europa abbiamo una civiltà millenaria, chi arriva deve adattarsi a questa condizione. L’errore commesso, per paura d’essere troppo severi, è un messaggio d’infinita tolleranza. E’ passata l’idea che “integrazione” significa vivere qui come nei paesi di provenienza; al contrario, vuol dire accettare la cultura locale, imparare a conoscere le usanze e le abitudini dei nostri paesi. Se vai a scuola, studierai la lingua e i programmi locali. Quello che differenzia i nostri accoglienti paesi da quelli dei migranti sta in una parola per la quale vale la pena lottare ed è LIBERTÀ! A chi arriva mai sarà impedito di parlare, mangiare, vestire, seguire la propria religione, fatto salvo le regole di pubblica sicurezza. Per chi pone l’accento sulla nazionalità dei terroristi nati in terra europea non varrebbe la pena sprecare una riga, giacché l’ipocrisia del voler avere ragione a tutti i costi nasconde la realtà. E’ evidente, questi soggetti hanno respinto l’integrazione. Hanno mantenuto consuetudini e mentalità dei paesi d’origine o della famiglia, pretendendo per sé regole comportamentali in netto contrasto con la cultura autoctona. Il fatto di nascere in una nazione è irrilevante, conta il sentimento di appartenenza che accomuna te con gli altri abitanti, oltre al desiderio di far parte di una collettività, ed essere aperti a eventuali cambiamenti. Al contrario queste persone sono profondamente legate alle tradizioni ancestrali, vengono o nascono in Europa ma rifiutano lo stile di vita occidentale, allora perché non ricordare che nessuno li trattiene? Devono solo tornare da dove sono venuti loro e i loro figli.