29 set 2015

Meridione indolente

L'indolenza è un’accezione come un'altra per allontanare il problema del sud, o metterlo in un angolo remoto della coscienza sociale e politica. Tanti ascrivono al clima la povertà di una regione rispetto ad altre, di là dei tropici sono le regioni del nord quelle considerate svogliate. Una deduzione priva di fondamento: per popolare le Americhe, l’Oceania, sono arrivati esseri da varie parti del pianeta, lo sviluppo o meno delle società dipende dal grado d’istruzione e dal buon governo, non dalla mitezza della temperatura. Bisogna partire da un tempo remoto, da congiunture fortuite e no, per capire la situazione presente nelle regioni del sud d'Italia. Nel XII secolo Federico II di Svevia, imperatore del Sacro Romano Impero, fu un uomo di raffinata cultura; egli regnò con la tenace volontà di unire terre e popoli. Nell’Italia meridionale e in Sicilia organizzò un governo centrale con un’amministrazione funzionante, della quale non vi è traccia nel corso degli eventi successivi. Avendo abolito i dazi all’interno del suo impero, avremmo tutti da rimpiangerlo ancora oggi. Uomo troppo lungimirante, si scontra con la Chiesa mettendo in discussione il potere temporale, per questo sarà scomunicato e descritto come un eretico; deposto da un Concilio il suo prestigio si appanna, decretandone la fine. Mentre il resto d’Italia arriva all’Ottocento conoscendo fasi alterne, in ogni caso avendo usufruito del periodo “comunale”, apportatore di vigore nel commercio, nell’artigianato, nell’economia in genere, nel sud  perdurava ancora il feudalesimo. La “questione meridionale”, espressione concepita da un deputato dopo l’Unità d’Italia, rilevava questo scollamento della realtà del sud rispetto ad altre regioni.  Nel Regno delle Due Sicilie governato dai
Borboni, vigeva una politica paternalistica, i provvedimenti del sovrano in favore del popolo erano concessi a titolo di benevolenza, prescindendo da un riconoscimento di diritto. La terra era posseduta dai latifondisti o dalla Chiesa, era coltivata dai braccianti che producevano per il padrone e per se stessi. Questi piccoli quantitativi determinavano prezzi alti, rendendo impossibile il commercio
agricolo come avveniva nel nord, dove si era già affermata un’agricoltura intensiva. Le spese del governo borbonico servivano a mantenere i soldati e ai bisogni della corte, non certo per investimenti. In alcune parti del territorio vi erano estese paludi, come quella Pontina e del Fucino bonificate solo in epoca fascista; le strade del regno erano poco più di mulattiere. Anche se la prima ferrovia italiana con i suoi 8 km è stata la Napoli-Portici costruita nel 1839, dopo vent'anni quelle del nord si estendevano per 2035 km, quella napoletana si era fermata a 98 km! Questo certamente non aiutava aperture e scambi commerciali. La popolazione era molto povera per questo il brigantaggio per alcuni era una scelta quasi obbligata. I briganti erano una realtà nota a tutte le campagne europee, qui però diventa un fenomeno diffuso; riconosciuti dal popolino come benefattori, spesso capi delle rivolte causate dalla fame e dalle ingiustizie. La situazione non cambierà molto dopo l'unificazione del paese, anche se con Giolitti molti meridionali ebbero un impiego statale. Avvenne che i deputati eletti per le regioni del sud si preoccupassero soprattutto delle suppliche e richieste dei proprietari terrieri, infatti, la vendita dei terreni dello Stato e della Chiesa finiranno ai latifondisti, e il popolo rimarrà ancora in attesa; inoltre la costruzione di strade e ferrovie non creerà uno sviluppo economico. Senza scomodare Giuseppe Tomasi di Lampedusa e il suo “Gattopardo”, bisogna considerare l'analfabetismo e l'arretratezza della gente, alcuni azzardano a parlare di familismo amorale, un concetto esagerato dei legami familiari a scapito dell’interesse collettivo. Certo il familismo sproporzionato è stato un modo di controbilanciare le situazioni governative sempre avverse alla popolazione, però non è pensabile continuare nell’eterno piagnisteo. La conseguenza dello scarso senso civico non permette alla società di contrarre un patto di fiducia tra gli individui, questo sbarra la strada al commercio, all’industria, alla legalità diffusa. Non si tratta solo di corruzione economica, è l’indolenza verso le regole a impossibilitare qualsiasi progetto, coniugata alla diffidenza verso tutto ciò che è estraneo. La democrazia è una realtà da diverso tempo, la popolazione meridionale ha avuto gli stessi benefici del resto d’Italia dall’istruzione pubblica, non si può quindi addurre a mancanza di cognizione la costante preferenza ai clientelismi, la perdurante sottomissione e connivenza a politici donatari del famoso pesciolino. Non c’è mai qualcuno a tratteggiare le proprie responsabilità, nessuno sprona a dare una spallata a secoli d’immobilismo. Tante donne e uomini del sud hanno lavorato con ardore all’estero creando piccoli e grandi imperi, per questo è una grave colpa non debellare l’apatia in patria, come una metastasi distrugge la parte sana formata dalle nuove generazioni, predestinate a un futuro di sventura o con la valigia in mano. Avranno dei concorrenti agguerriti, visto la marea umana che invade l’Europa, il rischio è diventare gli ultimi della fila. Non sarebbe meglio prendere in mano il destino e ridisegnare la Storia avendo come faro Federico II?