14 ott 2015

La Turchia nella Comunità Europea, solo questo ci manca




La goccia scava la pietra, lo dicevano gli antichi, purtroppo richiede parecchio tempo, ciò non toglie la volontà di provarci fino al tormentone. La Storia per la maggioranza delle persone non è maestra di vita, forse dipende dagli insegnanti, incapaci di renderla una materia viva; di fatto, molti non riescono ad accostare delle vicende accadute nel passato con eventi sopraggiunti, a volte potendo addirittura comparare con il presente. Si aggiunga a questo l’idea strampalata del non poter evocare il passato, perché il “nuovo” è migliore, portatore sempre e comunque di progresso. Bisogna anche metterci la supponenza umana, ignara della differenza tra apprendere e comprendere, oppressa nel giudizio da condizionamenti e istinti primari. Interessante rilevare come i problemi legati all'essere umano: nascere, vivere, morire e le derivanti pene, inquietudini e depressioni non cambiano pur attraversando i millenni. Non è diverso un persecutore di ieri rispetto a uno di oggi, e passano secoli, però violenze ed efferatezze sono sempre qui. Vigliaccheria, tradimento, menzogna, insidie invariabili. Tanta strada ma l’evoluzione non è arrivata; nelle guerre oggi come allora si parla di genocidi, stupri, miseria, gente che scappa, schiavitù. Può sembrare un paradosso eppure la Storia non inganna, si tratta sempre di uomini, guidati da odi, intolleranze, desideri di conquiste e sopraffazione.  Difficile non fare un raffronto con quanto sta avvenendo, osservando il quadro della “Battaglia di Vienna del 1683”, il top della lotta tra l’impero
Ottomano e l’Europa, quando il nostro continente sembrava non aver speranze, anche perché tormentato da guerre politiche e religiose tra i vari paesi.  Il potente impero Ottomano era scaturito da quello turco Selgiuchidi, esteso dall'Anatolia al Punjab, con la Persia centro del dominio.  I turchi Selgiuchidi in origine vivevano le sponde del mar Nero e del Caspio, e popolazioni turche erano anche gli Unni, gli Avari, i Bulgari che occupavano l’attuale Ungheria, chiamata dai Bizantini “Turchia”.  Al contrario adesso i turchi vivono sul territorio appartenuto alla civiltà bizantina fino al 1453, anno della conquista di Costantinopoli. L’impero Ottomano alleato della Germania si frantuma alla fine del Primo conflitto mondiale, a seguito delle guerre balcaniche e italo-turca, quando la Libia ultimo possedimento ottomano in terra d’Africa, diventa colonia italiana. Deposto dal popolo l’ultimo
sultano, il comandante militare Mustafa Kemal (noto come Ataturk, padre dei Turchi) nel 1923 cacciò i greci, che avevano acquisito delle concessioni territoriali, e si assicura in campo internazionale il riconoscimento della Repubblica, come Stato subentrato all'Impero Ottomano. Questo militare si dimostrerà lungimirante: il paese avrà una costituzione, sarà laicizzato, si riconoscerà la parità dei sessi, e si deciderà per l’elezione del presidente a suffragio universale ogni cinque anni. Oltre alla popolazione turca, nel territorio s’incontravano anche curdi, greci, ebrei e armeni. Questi avevano subito una pulizia etnica negli ultimi anni dell’impero ottomano, tra il 1915 e 1916 perché accusati d’essersi alleati con la Russia.  Passano decenni e in una Turchia laicizzata e con una buona economia, dove tre grandi partiti si affrontano nelle elezioni politiche, arriva il signor Erdogan. Chi è costui? Un venditore di limonata, al quale uno Stato laico, filo occidentale ha dato la possibilità di crescere. Come ricambia? Finendo nel 1998 in carcere per dieci mesi accusato d’incitamento all'odio religioso, e non anni come avviene nei paesi a ordinamento islamico, con aggiunta di frustate e condanne a morte. Uscito fonda un partito islamista conservatore, e sfrutta il crescente evolversi delle contese in Medio Oriente per farsi delle idee faraoniche, come il palazzo bramato e costato ai turchi 650 milioni di dollari, le cui dimensioni sono più vaste trenta volte la “Casa Bianca”. Nel 2005 nega il genocidio armeno, per questo si scontrerà con il parlamento europeo, non del tutto sprovveduto, e che iniziava a dubitare dell’alleato atlantico, sempre più ingombrante.  Inutile il pressante tirare per la giacchetta degli Usa, che volevano la Turchia facente parte della Comunità europea; come sempre, lo sappiamo, sono illuminati dal dio denaro e ciechi fino a quando non cadono nel baratro. Il presidente turco è al momento abbastanza in difficoltà perché come in altri paesi, esempio il Brasile, i capitali entrati con la politica espansiva americana e utilizzati per indebitarsi a basso prezzo, con il cambio di politica della Federal Reserve sono volati via, lasciando da pagare interessi sempre più alti, anche per il cambio non favorevole con il dollaro. Utopie di rinascita dell’“impero ottomano” si scontrano con situazioni sfuggite di mano a molti. Il bluff di Erdogan si scioglie come neve al sole quando la richiesta di combattere l’Isis, lo vede più intento a sferrare attacchi contro i ribelli curdi, che insidiano nelle elezioni politiche il suo potere. I curdi sono realmente uno strano caso, non interessano a nessuna anima pia, eppure nel mondo ce ne sono parecchie!  Qui non si parla di una piccola etnia, bensì di 40 milioni di persone prive di unità nazionale, sparse oltre che in Turchia dove sono il 18%, in Iran, in Iraq, in Siria, in Afghanistan, in Azerbaigian. Per futura memoria dei sempre pronti a battersi per una causa! Ora le lacrime di coccodrillo di Erdogan per la strage di Ankara, servono ai politici occidentali per continuare a preservare un’alleanza di fatto minata da anni, utile solo per commerci e interessi in parte sommersi. E’ arrivato il momento per l’Occidente di fare un bilancio, sono diventate troppe le situazioni incontrollate, abbiamo davanti popolazioni affamate, devastate da guerre e fanatismi, i cui capi pensano solo a mantenere il potere e la testa attaccata al corpo. Difficile trovare il giusto in mezzo a questo caos. Certo non si vedono più i cavalli al galoppo ma la bandiera nera con la mezzaluna è sempre presente.  Non scherziamo, ci siamo già passati.