10 ago 2021

Nemo propheta in patria

 



Fai paura anche da morto, e dopo tante promesse ecco nel mio piccolo ricordare un Uomo e un Vero intellettuale, certo meritavi maggior rilevanza di un blog semi sconosciuto.

“Nessuno è profeta in patria” è un’espressione latina e si dice pronunciata da Gesù dopo che la sua liturgia in sinagoga era stata accolta con freddezza. Il personaggio che vi narrerò non era credente e mi aspetto una sua tiratina d’orecchio per questa mia similitudine, tuttavia come tanti altri italiani che hanno avuto notorietà solo a posteriori, Maurizio Liverani rientra perfettamente nella casistica, per questo sosteniamo con forza sia innalzato al ruolo che gli sarebbe spettato in vita. È bene specificare che non reputiamo la notorietà un valore di cui andare fieri, nei tempi moderni è spesso sinonimo d’intrallazzi, vassallaggio, prostituzione e arrivismo, intentiamo solo far conoscere ai giovani un UOMO che è stato un esempio d’integrità intellettuale e che opponendosi alla corruzione è stato relegato ai margini della società. Ne abbiamo molto bisogno per far ripartire la migliore Italia e per farlo dobbiamo stimolare i nostri ragazzi ad avere molto coraggio per scacciare dalla scena i cattivi maestri. Maurizio Liverani era noto anche con lo pseudonimo Mauro Lirani e Ivanovich Koba, era nato a Rovereto nel 1928, oltre a giornalista era anche regista e scrittore. Interessante notare come l’appellativo Ivanovich Koba fosse lo stesso scelto da Stalin, ma prima di arrivarci al perché dobbiamo dare uno sguardo alla sua vita. Nipote di Augusto Liverani, ministro delle comunicazioni della Repubblica di Salò, il sedicenne Maurizio partecipa alla Resistenza e aderisce al Partito Comunista. Nel 1952 lo troviamo responsabile della rubrica degli spettacoli e poi di quella culturale nella redazione del giornale “Paese Sera”, fu il primo ad introdurre le stellette per valutare i film. Sembrava tutto andare per il meglio, sennonché nel 1956 durante l’invasione sovietica dell’Ungheria Liverani viene convocato dal noto politico comunista Giancarlo Pajetta intenzionato a mettergli il bavaglio, infatti gli intima senza tanti giri di parole di occuparsi di spettacoli e di lasciar stare l’Ungheria. Ci vuole molto meno per trovarsi la strada intralciata e da quel momento Liverani si guadagna la prima medaglietta di personaggio scomodo. Da lì diventa un controllato a vista e nel 1959 il settimanale “Lo specchio” lo definisce un deviazionista, la manina neanche nascosta di quella valutazione era nientepopodimeno la Direzione Generale del Partito Comunista. La sua carriera nel giornale e nel partito sta per terminare ma nel frattempo aveva assunto come critico un giovane di nome Dario Argento. Insieme rivolgono la loro attenzione al cinema sebbene in campi diversi, Argento uscirà nelle sale con il thriller “L’uccello dalle piume di cristallo” e Liverani con un divertente ritratto dell’Italia dal dopoguerra al ’68 intitolato “Sai cosa faceva Stalin alle donne?”, tra gli attori Helmut Berger e musiche di Morricone. Con questo film vinse il premio di qualità alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, tuttavia le parole di Pasolini che gli disse “vedrai te la faranno pagare” furono presto confermate, infatti il film che a Bologna nel Natale del 1969 era per numero di spettatori al secondo posto fu fatto scomparire dalla giunta rossa. Curioso che dopo la caduta del Muro il film presentato a Mosca ebbe un grande successo. Nella sua lunga vita collaborerà con varie testate giornalistiche sempre fedele esclusivamente a sé stesso. Uscirà nel 1976 con un altro film “Solco di pesca” protagonista Gloria Guida, a suo dire era stato un tentativo di ammonire senza falsi moralismi, sui paradossi del consumo di sesso.

Questo era il Nostro! Certo ha vinto qualche premio, quelli per “intenditori”, con le luci abbassate. In ogni caso Liverani sarebbe stato ritroso alla ribalta, gli sarebbe bastato potersi confrontare liberamente in dibattiti, poter dare la sua interpretazione e visione di quell’Italia a lui ben nota del dopoguerra, in fondo è questo che gli è stato totalmente negato.

Riceve a Roma nel 1971 il Premio qualità del Ministero dello Spettacolo per il film “Sai cosa faceva Stalin alle donne?” 

A Fiuggi nel 1997 il Premio Roland Topor per la satira politica con il saggio “Dal Polo al pollo”.

Ad Ancona nel 1999 la Medaglia d'oro al giornalismo.

A Roma nel 2010 il Premio Marcello Sgarlata 2010 con la bellissima intitolazione: - Per non aver mai abdicato alla propria integrità di pensatore e alla irrinunciabile vocazione di propugnatore delle verità storiche, politiche e culturali, incurante tanto delle seduzioni quanto degli assalti di un conformismo che opprime e troppo spesso domina.

A Marta nel 2013 il Premio Scrapante con un’altra stupenda dedica: - Per i valori sociali    artistici e culturali ispirati alla sensibilità umana, al rispetto reciproco, alla solidarietà, alla dignità del comportamento alla semplicità del vivere.

Nel 2013 il Premio Mario Pannunzio come classificato alla sezione "Giornalismo e Saggistica" per il saggio “Le fuggevoli nuvole del divismo si dissolvono con Audrey”.

A Roma nel 2017 La cineteca Nazionale gli ha dedicato una rassegna organizzata da Luca Pallanch intitolata “Sai cosa faceva Maurizio Liverani al cinema?”

Come regista oltre per i due film menzionati, ricordiamo i documentari: Se questa è follia... (1993); La strategia del bianco (1994); Ben Shahn: un tragico umorista (1995); I colori di Sara (1997); Gli eroi sono stanchi - I gessi di Enrico Mazzolani (1998).

Opere letterarie oltre al saggio di satira politica “Dal Polo al pollo” (1997), Scipioni editore, è da leggere il romanzo “Disamore, ovvero la trascendenza verso il basso”, edito da Monduzzi (1998).

Aderendo al progetto editoriale di Barbara Soffici per valorizzare e recuperare i suoi scritti ha pubblicato tra l’altro: “Le fuggevoli nuvole del divismo si dissolvono con Audrey”; “Il cinismo al potere”; “Lassù sulle montagne con il principe di Galles”; “Sordi racconta Alberto”; “Aforismi sospetti”.

Maurizio Liverani lo scorso 10 febbraio in una mattina come tante, mentre passeggiava nel centro di Senigallia, cittadina che da anni lo ospitava, è stato colto da malore e ha perso vita. Seppur ultranovantenne quello che mi lasciava stupefatta era il tratto giovanile della sua penna. Non perdevo i suoi scritti nella rubrica da lui curata “Fatemelo dire” della agenzia giornalistica “distampa”. I titoli erano scelti con cura, la stilettata era sempre presente, ed ecco il “Nascere è fuori moda” di pochi giorni prima della sua dipartita, dove scriveva che la parola futuro ricorda un burro inscatolato, e malignamente aggiungeva quanto fosse inconveniente essere nati soprattutto in Italia; nel “Dalle stelle alle stalle” ci accompagnava nella da lui descritta intelligenza dialettica  di Matteo Renzi; nell’ “Un comico da Santa Inquisizione” ci spiegava che negare che Grillo abbia l’animo di Savonarola è come sostenere che la neve annerisce i tetti; nelle “Strade tortuose della democratura” ci ricordava che Eugène Ionesco, ai sessantottini che sfilavano per le vie di Parigi, gridava: diventerete tutti notai.

Ah sono troppi i suoi scritti per elencarli tutti, vi esorto di cuore a leggerli su “distampa.com” FATEMELO DIRE di Maurizio Liverani. Avrete spartiti dell’Italia di oggi e di ieri, personaggi, curiosità, il tutto condito con immensa conoscenza e esperienza. Non troverete fumo, ovvietà, solo l’acutezza di un intelletto vivo e ben preparato.  Non è importante essere o non d’accordo, quello che viene dato è un’altra prospettiva, qualcosa su cui riflettere.

Se fosse stato come la maggior parte di lorsignori che circolano, scrivendo come una marionetta avrebbe avuto onori e gloria, anche perché aveva il dono della scrittura. Purtroppo sapeva benissimo che per aprirsi la strada della popolarità doveva fare compromessi, doveva abdicare alla sua libertà intellettuale e quello era un valore troppo alto, nessun denaro o ribalta sarebbe stato abbastanza. L’essere ignorato dev’essere stato assai duro, sebbene discrezione e semplicità fossero sue qualità, tuttavia sentiva l’avere tanto da raccontare e aveva voglia, e chissà, quanta del confronto. Abbiamo perso quello che sarebbe stato un ottimo “magister”, e per la sua coerenza e onestà intellettuale gli dobbiamo un eterno ricordo. Difficile allora non pensare a “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche e al fatto che la sua opera sia un frammento dell’eternità.