18 ott 2015

Sinistrati dall'ipocrisia

Dove mai sarà l'allegra brigata che inneggiava alla pace marciando con la bandiera arcobaleno? Era tutto un colore: famigliole con bambini, giovani con alti ideali, intellettuali di sinistra, gente comune e dello spettacolo mischiata ai cattocomunisti. Tutti evaporati? In quell'epoca i tamburi di guerra erano lontani, nondimeno tante case sfoggiavano nelle finestre e nei balconi la bandiera della vocazione non belligerante. Chi non manifestava si sentiva associato al dio Marte, nel circolo dei guerrafondai e dei venditori di armi. Non tutti erano omologati e ammassati negli archetipi dominanti, i ricordi tornano, e l'ipocrisia di chi fa finta d'essere approdato in un mondo nuovo è insopportabile. Il presente è frutto degli errori commessi negli ultimi decenni, quando il “diritto” è entrato nel vocabolario quotidiano. Il “diritto all'istruzione” è stato calpestato da coloro che senza lavorare, trascorrevano anni nelle università senza laurearsi, perché tanto costava poco; i genitori mandavano i figli a scuola certi che l’incombenza a predisporli all'apprendimento fosse solo del corpo docente. Il “diritto alla sanità” ha comportato un aumento di prestazioni nel pronto soccorso perché non si faceva la fila dal medico; nella spesa farmaceutica quando si pretendeva gratis anche la siringa. Il “diritto alla pensione” ha regalato a molti, con quindici o meno anni di contributi, un sostentamento per il resto della vita, con la possibilità di continuare a lavorare, e un garantito in tasca elargito per tredici o più mensilità. Il “diritto alla casa” ha concesso a chi sapeva muoversi, di non fare sacrifici per comprarne una, si entrava in possesso di
un’abitazione a prezzo stracciato, indipendente dalla situazione economica del nucleo familiare, spesso ereditando il privilegio. Il “diritto al lavoro” ha permesso a molti di assentarsi con controlli sui generis, di lavorare senza rendimento, di pretendere uno stipendio come se fosse un dovuto, non un ricevere effetto di un dare. Tutto era distribuito allegramente, in cambio il ventre molle della politica
e dei personaggi influenti negli ambienti della baronia universitaria, della magistratura, dei giornalisti, dei bancari, del mondo finanziario, troppi per elencarli tutti, diventava sempre più potente e vorace. Come gli antichi feudatari, la gestione era mandata avanti con il sistema della raccomandazione, guai a non far parte di un partito, sindacato, chiesa, o potentato. Chi osava avversare il meccanismo, troppo squilibrato perché continuasse in eterno, era tacciato di reazionario, ignorante, guardato con sufficienza. Non c’è nessun piacere nel ravvisare la disfatta, solo il desiderio di trovare una via d’uscita per non danneggiare i ragazzi, le future generazioni. Abbiamo agito ipocritamente, peccato di presunzione, di stupidità. Soprattutto è mancato l'equilibrio, il buon senso contadino. Per convivere con gli altri ci devono essere regole, e non possono essere personali. Devono abbracciare un gran numero di situazioni, ma se a queste devi aggiungere di continuo delle postille, salta all'aria tutto. Diogene asseriva che l’uomo libero è indipendente dalla società, per questo viveva in una botte. Non è il nostro caso! Noi vogliamo stare in collettività, però dettando le regole a noi favorevoli, lasciando fuori la realtà degli altri, questi sconosciuti… Impossibile, per quanto siamo astuti, ce ne sarà sempre uno di più. Se conquistano o acquistano il potere, per noi la frittata è fatta. E’ necessario smetterla di seguire come le pecore, il pastore di turno, dobbiamo farci guidare nelle situazioni dalla ragionevolezza; l’alleato è il vicino di casa con il quale gioco forza, bisogna scendere a patti. Il dichiararsi di un partito o dell’altro, destra, sinistra, brandire coerenze alle quali non riusciamo dar seguito, fa di tutti noi carne da cannone.